19 dicembre 2008

Recensione 13th Star - Renato Fois

Dear Friends,

le emozioni derivanti dall’ascolto del nuovo lavoro di Fish mi spingono a tornare alle mie vecchie abitudini e scrivere (e postarvi) la mia personalissima recensione di 13th Star.

Già dal packaging e dall’artwork splendido di Mark Wilkinson si evince un’attenzione ai particolari che difficilmente abbiamo trovato nei precedenti lavori; l’accuratezza degli arrangiamenti e della produzione conferma quest’impressione. Provate ad ascoltare l’album in cuffia: il suono è molto strutturato, più chitarre si sovrappongono, si intersecano, sottolineano le melodie delle tastiere…

E’ impossibile non notare che l’intera band sembra in stato di grazia. Foss è superlativo, finalmente c’è un bel suono di pianoforte che mancava praticamente da A Gentleman’s Excuse Me (a proposito, a giudicare dalle immagini del DVD credo sia un piano a mezza coda…), insomma, per la prima volta (lo giuro!!!) ascoltando un nuovo lavoro del Pescione non ho sentito la mancanza di Mickey! Che dire poi di Frankie? Forse è più a suo agio con la musica ma stavolta è perfetto, mai una volta che il solo sembri stridere con le atmosfere del pezzo. Sfodera pure una composizione di grande caratura, niente a che vedere con il suo primo tentativo anni fa (ricordate Favourite Stranger?). Steve Vantsis… beh, mi mancano le parole… incredibile, un’autentica sorpresa…

Il disco si divide idealmente in 2 parti dalla struttura molto simile con l’aggressività musicale (lo smarrimento e la rabbia del protagonista delle liriche) che lentamente sfocia in sonorità più morbide (lo scoramento, la malinconia, ed infine la speranza ritrovata).

Mai come in quest’album la musica ha sposato i testi, sottolineando in ogni momento il sentimento che di volta in volta emerge dalle liriche. Stesso discorso per la compattezza: non è una semplice collezione di canzoni (così come lo sono stati tutti i dischi di Fish, eccezion fatta per Plague of Ghost e, quantomeno in parte, Sunsets On Empire e Fellini Days); l’ascolto in random è assolutamente sconsigliato, snatura il disco e gli fa perdere intensità (provate ad ascoltare in random Misplaced Childhood e vi farete un’idea di ciò che intendo…).

L’apertura è Circe Line, bella, potente, ma non troppo diversa da altre cose che il Pescione ci ha fatto già ascoltare in passato e comunque non fa presagire la grande caratura del lavoro.

Al contrario Square Go ha l’effetto deflagrante di una bomba: potente, intensa, durissima (ma progressive allo stesso tempo), è il primo gioiello del disco.

L’intro del pezzo introduce Miles De Besos, dolce e bellissima ballata, con un bellissimo ritornello, che si chiude con una punta di amarezza (did you know that you broke my heart and left a scar that never fades away… // lo sapevi che mi rompesti il cuore e lasciato una cicatrice che non sarebbe mai andata via…).

Zoe 25 liricamente è diversa dal resto del disco. Qui Fish assurge al ruolo di narratore esterno che pennella un quadro di “solitudine metropolitana” con protagonista questa ragazza londinese di nome Zoe (anche se musicalmente è completamente diversa mi riporta alla mente Chelsea Monday…) .

Arc Of the Curve chiude la prima ideale parte dell’album. Se in Miles De Besos era il piano di Foss a caratterizzare il brano, in questa ballata è invece la chitarra acustica 12 corde a farla da padrone (che bello riascoltarne il suono!!!!!). Credo che a suonarla sia il buon Steve Vantsis (a proposito, ma da dove vi siete tirati fuori che la maggior parte degli assoli sia sua? Secondo me i soli sono tutti di Frank e Steve si limita, come peraltro Chris Johnson, a rifinire i brani con la seconda chitarra e talvolta, come per l’appunto in Arc Of the Curve, con l’acustica). Nelle sue trasmissioni su Planet Rock Fish disse che questo era il pezzo centrale dell’album e liricamente lo è di certo: è il coronamento del sogno (I put a ring upon your finger, that smile upon your face…// ho infilato un anello al tuo dito, quel sorriso sul tuo viso…) ed il suo crollo (I could never contemplate that you would ever walk away… // non avrei mai potuto immaginare che te ne saresti andata via… ).

Quando il sogno si infrange la rabbia torna prepotentemente e con essa il senso di smarrimento già evidenziato in Circle Line (ecco perchè parlavo di 2 parti dalla struttra uguale…), ed eccoci così a Manchmal. I’m running round in circles, I find I’m running blind…(sto girando intorno, sto correndo alla cieca…) E’ il brano più duro dell’intera discografia di Fish ma allo stesso tempo, ed in questo ricorda Shadowplay, ha una ideale seconda parte che, pur rimanendo potente, è molto d’atmosfera, decisamente prog… La poetica di Fish emerge bellissima… It’s time to choose between the devil and the deep blue sea, manchmal… It’s time to choose between the open water and your dreams, time you faced reality, time you faced your fears, manchmal…(è il momento di scegliere tra il diavolo ed il mare profondo, talvolta… è il momento di scegliere tra il mare aperto e i tuoi sogni, il momento di affrontare la realtà, di affrontare le tue paure, talvolta…)

Openwater è un rock più classico, potente, con arrangiamenti molto curati (ma questa è una caratteristica comune a tutto il disco). Prova ENORME dei chitarristi, stavolta Fish ha proprio ragione, questa dal vivo sarà un bordello!!!

Segue Dark Star, forse il pezzo più bello e completo dell’album. E’ progressive? O forse semplice rock? Magari addirittura space rock!!! E’ il momento della rottura dei rapporti personali, delle collisioni (i want to crash into another world…). Musicalmente mi sembra vicino ai Porcupine Tree, specialmente nell’uso delle tastiere e della chitarra acustica, ma non essendo un grande conoscitore (e/o amante) della musica dei porcospini potrei tranquillamente sbagliarmi. Il ritornello è incredibilmente trainante e, così come per il finale del pezzo, la parte It ain’t easy…, è grandioso, maestoso, da brividi.

Ma i brividi non ci abbandonano più ormai. Where In the World è malinconica, forse addirittura triste, semplice e bellissima. Una chitarra vagamente floydiana cesella un testo struggente (… we kissed with open eyes, you took me by surprise, you hurt me so deep inside, how could you then decide that you’re going home…// ci baciavamo tenendo gli occhi aperti, mi hai colto di sorpresa, mi hai ferito profondamente, come hai potuto decidere che stavi andondo a casa…) (before I knew it, you had disappear without a word, you stole my dream… where do I go from here… // … prima che lo capissi, sei scomparsa senza una parola, mi hai rubato il sogno…dove vado da qui… ); questa canzone mi fa sentire ancora l’adolescente di 20 anni fa, emozionato e quasi imbarazzato, mi fa rizzare i peli tutte le volte che la sento. Forse è un pizzico troppo lunga, leggermente editata sarebbe stata migliore, ma vabbè, lamentarsi è proprio fuori luogo.

La chiusura del disco spetta alla title-track il cui primo accordo è Sugar Mice… la cosa è così palese che non può non essere stato fatto apposta… 13th Star è letteralmente da lacrime nella prima parte. Poi si perde un po’, ma rimane comunque bellissima (there’s a point in your life, you got to reach and when you do, you notice it, and now I’m here…// c’è un punto della tua vita, lo devi raggiungere e quando lo fai, lo avverti, ed io sono qui adesso…).

Fish mi ha veramente sorpreso. Ero convinto che come artista ormai avesse già dato il meglio, e che ormai potesse solo vivacchiare con qualche zampata di classe qua e la. Ed invece, dopo quasi 30 anni di carriera, mi sfodera questo disco che mi provoca emozioni fortissime. Mi ricorda il primo ascolto di Misplaced Childhood, o di Vigil. Che bello…
Gli arrangiamenti sono curatissimi e così pure la registrazione e la produzione, bisognerebbe fare i complimenti a Calum Malcolm, forse le cagate degli ultimi album erano da ascrivere a Elliott Ness (che d’altronde aveva mixato e prodotto quei dischi) e non a lui. E soprattutto un enorme grazie andrebbe fatto a Steve Vantsis che sorprendentemente si rivela un brillante compositore, all’altezza dei migliori che hanno affiancato Fish nella sua carriera (Steve Rothery/Mark Kelly, Mickey Simmonds, Steve Wilson). Ragazzi, e chi se lo aspettava…

Spero proprio di poter venire a vedere il concerto, mai come quest’anno mi piacerebbe esserci!
Ciao
R.

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